Lentamente muore

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vehui@h
00martedì 31 maggio 2011 21:23
E’ il titolo di una bellissima poesia.
Questa volta, però, non voglio parlare di poesia, ma della perdita di qualcosa o meglio di qualcuno che indirettamente avrebbe potuto far parte di noi, della parte buona di noi, anche se non lo conoscevamo, anche se non abbiamo mai visto quegli occhi sorridere o affacciarsi fiduciosi alla vita, una vita che è stata tragicamente spezzata e che lascia dietro di sè una scia di disperazione e lacrime.
Sono le anime innocenti, quelle che avrebbero dovuto essere il nostro futuro ma che purtroppo sono vittime di un incidente, un’angoscia, un rimorso che non potrà mai esaurirsi, non potrà mai affievolirsi e finire nell’angolino del cuore di colui che lo ha provocato.
Prima Elena e dopo Iacopo, due piccoli che hanno chiuso gli occhi sulla loro esistenza e non avranno mai la possibilità di crescere, di vedere il mondo e affacciarsi su di esso con slancio e curiosità.
Io non condanno nessuno, anzi prego per quei poveri padri che inconsapevolmente hanno causato la morte dei loro bambini. Immagino lo strazio che debbano provare e l’angoscia che attanaglia i loro cuori; non potranno mai darsi pace, non potranno mai giustificare il loro gesto, non potranno mai guardarsi allo specchio senza pensare “è colpa mia!”.
La nostra vità è troppo frenetica, corriamo instancabili da casa all’ufficio, ci occupiamo di tutto, del nostro lavoro, di portare a termine tutto ciò che ci siamo prefissati, di fare la spesa, di badare alle faccende, di portare i figli in giro nei loro innumerevoli impegni. La nostra giornata è pregna di pensieri, orari da rispettare, commissioni, cose da ricordare e chi più ne ha più ne metta. Ad un certo punto il nostro cervello dice “basta”, ci manda dei segnali per avvertirci che il nostro organismo non può reggere al ritmo frenetico che ci siamo imposti, che la nostra vita ci impone, e noi non lo ascoltiamo. Inconsapevolmente facciamo finta di niente, siamo sordi ai suoi richiami e ai suoi avvertimenti.... ed ecco che qualcosa scatta, un interruttore si spegne, un velo si pone davanti ai nostri occhi, dimentichiamo qualcosa che avremmo dovuto fare ma che all’improvviso perde importanza perchè il nostro cervello ha bisogno del suo spazio, del suo tempo per elaborare il tutto e farci riprendere il ritmo.
Questa volta sono stati loro ad andarci di mezzo, e non per colpa di padri irresponsabili o superficiali, ma soltanto perchè il nostro orologio corre, corre e non smette mai di correre, senza darci il tempo di fermarci, di pensare, di godere di quei momenti che uno dopo l’altro formano i mattoncini della nostra vita.
jack_daniels.
00domenica 5 giugno 2011 21:05
In effetti, ciò che ha provocato le tragedie da te evocate in questa bellissima riflessione, è esattamente l'opposto di ciò che viene descritto nella poesia che da il titolo a qusto post. E' vero, a volte dovremmo essere capaci di trovare il modo di darci tregua, ma quanto è difficile. Solo così riusciremmo ad essere lucidi e pensare a quello che facciamo piuttosto che dover pensare a quello che abbiamo fatto. Quante tragedie dettate dalla frenesia e dallo stress che i ritmi di vita ci impongono. Pensiamoci ogni volta che cominciamo a pensare che si sta colmando la misura.
vehui@h
00mercoledì 8 giugno 2011 14:18
La poesia che ho citato non era riferita al testo della poesia stessa, quanto al titolo che mi ha fatto venire in mente la lunga e penosa agonia di quei poveri bambini che, per uno scherzo del destino, sono stati dimenticati.
Sono d'accordo con te è difficile fermarsi a riflettere, soprattutto quando il ritmo frenetico della vita ti prende e non ti dà modo di rallentare, ci fermiamo nel momento in cui accade qualcosa di irrimediabile e da cui non possiamo tornare indietro.
Ecco perchè le vacanze dovrebbero essere belle e rilassanti; perchè ti danno modo di riappropriarti di una parte del tuo tempo che altrimenti scorrerebbe sempre più in fretta.
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